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12. La morte di Gesù. Le preghiere della sera. "Consummatum est". "Pater, dimitte illis" (coloro che mi hanno fatto soffrire). "In manus tuas, Domine, ..."

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Il dissenso si fa strada tra i sassi
Di Admin (del 15/09/2010 @ 15:05:20, in Dina Mite 2010, linkato 1369 volte)

Non si tratta del dissenso di “Noi siamo Chiesa” o di altre fazioni contestatrici, che nascono già intaccate dal virus del dissolvimento, o dei vari Neocatecumenali che il diavolo suscita per ridurre il culto eucaristico a sceneggiate conviviali. Si tratta anzi dei loro oppositori, che cominciano ad accorgersi dei disastri indotti nella Santa Madre Chiesa dai loro più o meno noti corruttori e dallo smarrimento dottrinale che ne corrode la Fede. Si tratta dei settemila che non hanno piegato le loro ginocchia a Baal e delle bocche che non l’hanno baciato (v. 1 Re 19, 18). Pochi, di fronte alla marea sterminata di quelli che vivono nell’incoscienza o stanno al compromesso, e oggi sono considerati retriva mascella d’asino.

Quella mascella che nelle mani di Sansone ha provocato uno sterminio di filistei (Gdc 15, 15s), nelle mani di Cristo Signore potrà buttare all’aria la forza infernale che imprigiona il mondo e la Chiesa. Non è sempre vero che Dio si serve delle cose che non sono per annientare quelle che sono (1 Cor 1, 28)? Per le sue vittorie Dio ha sempre fatto leva sul piccolo resto, sui pochi soldati di Gedeone per mettere in fuga l’esercito dei più accaniti nemici. Chi sostiene le sconfinate galassie non ha bisogno di supporti terreni per le sue vittorie.

La radice robusta del piccolo resto è Cristo stesso, Radix David (Ap 5, 5), che non vuol più sopportare i disordini della Chiesa di oggi.

Cristo rigetta questo modernismo, che ormai rivela in piena luce la sua velenosa indole massonica e diffonde puzza di Satana.

Gesù respinge questo ecumenismo che insozza la Chiesa redenta e alimentata dal suo Sangue abbassandola al livello delle religioni che adorano il suo stesso nemico.

Gesù non può più sopportare che i vertici della sua Chiesa siano dominati da cardinali e vescovi traditori, che per la sete di potere si sono consegnati alla massoneria, gettando l’antico serpente (Ap 12, 9) al collo del Vicario di Cristo in terra.

Non può più vedere il popolo di Dio, il suo Corpo Mistico, consegnato nelle mani del nemico, il suo gregge condotto dai cattivi pastori tra vipere e rovi, mentre coloro che aveva scelto come prediletti, i suoi consacrati, continuano a prestarsi al compromesso progressista.

La Radice robusta di Davide si fa strada tra i sassi: rocce enormi, durissime, ma non indistruttibili. Il Forte non si è addormentato, e attende il momento di uscire come Sposo dal suo talamo (v. Sal 18, 6), sollevando alta la testa (Sal 109, 7), finché tutti i suoi nemici siano posti a sgabello dei suoi piedi (Sal 109, 1; Mt 22, 44, ecc.).

Nel frattempo il piccolo resto si fa cosciente, si rafforza nell’umiliazione, nella preghiera e nel Sacrificio Eucaristico, tempra le armi nel Vangelo, riacquista sicurezza nella solida dottrina tomistica, che non ha alternative e penetra la Parola di Dio con fedeltà. Il piccolo resto si fa contagioso, si allarga senza far rumore, si stringe attorno alla Roccia, consapevole che chi va contro di essa si sfracellerà (Mt 21, 44).

Ma io che devo fare? Qual è la mia vocazione personale in quest’ora di totale smarrimento?

Nella storia della Chiesa la confusione non è mai mancata. Gesù stesso disse: “E’ inevitabile che avvengano scandali” (Mt 18, 7), e gli Apostoli mettevano in guardia i primi credenti dai falsi profeti. Anche al tempo di San Tommaso d’Aquino c’erano pensatori che pensavano male e scrivevano peggio. Tommaso però si impose nella Chiesa per una dottrina, confermata dalla santità, che aveva il pregio di una profondità e precisione insuperata, tanto che lo stesso Vaticano II, sette secoli dopo, rimanda alla sua dottrina per discernere con sicurezza il buon grano dal loglio.

Nostro compito è portare chiarezza. Chiarezza di dottrina, innanzi tutto. Possiamo compatire coloro che sbagliano, ma la nostra vocazione non è di portar fumo dove c’è fumo. E ce n’è tanto, troppo nella Chiesa.

La nostra fiducia è la profondità: è scavare più a fondo, rimettere in luce ciò che è calato nella tenebra. La verità è una, ma non è conosciuta, non è accettata. Però la Verità è paziente, e viene a galla ad onta di tutto.

La profondità è nel Vangelo, letto alla luce dello Spirito Santo e del Magistero della Chiesa, quello di sempre, non di certe spensieratezze ecumeniche. Scavando in questo solco, siamo sicuri che non perdiamo tempo e diamo agli altri quello di cui hanno maggior bisogno. A volte basta un santo, un pensatore sano e profondo per stroncare indirizzi aberranti.

La nostra miniera d’oro non sono i sapienti del mondo, così confusi e smarriti. Non sono le idee peregrine dei media, non è il fascino falso della mondanità: il mondo è tutto sotto il maligno (1 Gv 5, 19), che è menzognero e omicida. Le speranze politiche sono annientate dai fatti. Altre certezze sono sabbie mobili.

 Noi abbiamo la guida nella Parola di Dio: “Se siete costanti nella mia Parola - ci assicura Gesù -, conoscerete la Verità, e la Verità vi farà liberi” (Gv 8, 31s). “Le mie parole sono Spirito e Vita” (Gv 6, 64). Se vogliamo una conferma della verità, l’abbiamo nell’essere perseguitati.

Non perdiamo tempo. La Parola di Dio rimane in eterno, e in essa abbiamo la sicurezza di non lavorare invano.

Vogliamo portare luce in questa selva oscura? Non portiamo fumo dove ce n’è già troppo. Portiamo il Vangelo scavato più a fondo.

La prima Carità, la più indispensabile, è la Verità. Senza la Verità, la stessa Carità va in dissoluzione.

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